puoi tutto quello che vuoi ( whatever you want you can)
Alle zanzare non piacciono le piante…
La citronella resta indubbiamente la pianta dal più alto potere anti zanzare! si tratta di un arbustiva perenne che cresce come un cespuglio. La sua forma ricorda un morbido cuscino e le sue foglie ricordano dei fili d’erbra giganti.
Il rosmarino ha anche un forte potere anti zanzare: potrete creare delle siepi basse profumatissime. Il rosmarino inoltre fiorisce durante il periodo estivo: dovrete solo ricordarvi di potarlo per dare una forma ordinata al suo cespuglio. Non avrete più zanzare ma avrete sempre a portata di mano un’erba aromatica preziosissima in cucina!
Un cespuglio di lavanda è un potente anti zanzare: coltivate in piena terra la lavanda e avrete un cespuglio coloratissimo per tutta l’estate! Scegliete il famoso “lavandin” (Lavandula Hybrida), tra tutte la specie di lavanda più profumata in assoluto!
Per una bordura colorata che protegga il vostro giardino dandogli un vivacissimo colore, scegliete invece la calendula: seminatale in piena terra ai bordi di cespugli e non solo le zanzare ma anche tanti altri parassiti delle piante se ne staranno alla larga!
Una pianta di eucalipto vi aiuterà a tenere lontane le zanzare, ma coltivatela in giardino solo se saprete dedicargli le giuste attenzioni: è infatti una pianta che arriva anche ai 25 metri e per essere sicuri che non raggiunga una tale altezza dovrete procedere a una regolare potatura nel periodo primaverile!
La Catambraè una pianta che grazie all’elevata concentrazione di catalpolo (una sostanza naturale) esercita una potente azione repellente contro zanzare ed insetti volanti a sei zampe.
Caratterizzata da contenuto in catalpolo quattro volte superiore (confermato da analisi hplc) che conferisce effetto repellente sulle zanzare e quindi mezzo assolutamente biologico.
La catambra quindi non è solo una bella pianta ornamentale ma risulta essere particolarmente efficace contro zanzare e altri insetti fastidiosi. L’azione respingente si esplica per un raggio pari a circa il doppio della sua chioma. Essa può essere utilizzata sia negli ambienti chiusi che all’aperto; non necessita di particolari cure, vive bene sia all’ombra che al sole, non teme il gelo, non richiede potatura e, può raggiungere l’altezza massima di 3,5 metri. Questa pianta è il risultato del progresso delle nuove biotecnologie che permette di individuare anche nelle piante ornamentali scopi utilitaristici che vanno al di la dell’estetica e della funzione di abbellimento.
In questo senso il panorama degli obbiettivi che ci propone il futuro non ha limiti, proprio perchè oggi la sensibilità alla salvaguardia dell’ambiente e della propria salute è fenomeno largamente percepito, le piante a difesa della qualità della vita stanno riscuotendo interesse e successo.
Giovanni Ambrogio, papà della Catambra. crede a un eterno paradiso terrestre. Crede che il buon Dio, con il regno vegetale, ci conceda cibo ed ogni rimedio, solo a saperli scovare. Da qui la scoperta della ornamentale Catambra, avvicinabile a un clone della catalpa selvatica, pianta portainnesto in tre possibili punti: alla base, a un metro e mezzo d’altezza, sopra i due metri.
Nasce la Catambra e dopo breve acclimatamento rilascia il catalpolo (famiglia glicosidi fenitil- alcoolici) che respinge le zanzare per l’odore, quattro volte superiore a quello sprigionato della catalpa.
Nell’anno la Catambra mette e perde le foglie, ma non fiorisce come la pianta madre.Non ha semi, né si riproduce; resta esemplare unico.
Una lettera del Cnr di Bologna, fra le tante, ne testimonia i pregi: «Piantare la Catambra è un modo efficace per combattere le zanzare e ridurre l’eccesso di anidride carbonica nell’aria».
«Diffidate dalle imitazioni dei furbetti – avvisa il botanico – Qualcuno vende per Catambra piante simili senza effetti benefici. Quella dei miei vivai ha impresso sul fusto un timbro indelebile e sulla chioma porta una etichetta antistrappo. Mi difendo così dalle imitazioni
La Catambra raggiunge il suo massimo effetto tra maggio e settembre. Naturalmente l’effetto repellente va di pari passo con la densità e la salute delle foglie che compongono la chioma.
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Fonti:
La tradizione vuole che le noci vengano raccolte il 24 giugno, giorno di San Giovanni Battista, allorché la maturazione del frutto non è ancora completata ed il mallo risulta verde e tenero. L’antica credenza popolare voleva che la rugiada (guazza) formatasi nella notte tra il 23 e il 24 giugno fosse una panacea per ogni male, specie per i problemi dell’apparato digerente e per i disturbi gastro-intestinali, per i quali il Nocino era considerato un rimedio eccellente.
Le origini del liquore sono incerte. Si sa che esistono versioni di liquore di noci in molti paesi europei, dall’Italia, agli Urali, all’Inghilterra. Documenti romani antichi riportano che i Picti, cioè i Britanni, si radunassero nella notte di mezza estate e bevessero da uno stesso calice uno scuro liquore di noce. Successive fonti riportano che tra i francesi era in uso un liqueur de brou de noix o ratafià di mallo. Probabilmente dalla Francia fece il suo ingresso in Italia, diffondendosi prima nella zona del Sassello e poi nel Modenese.
ricetta su tavola di legno Certosa di Pavia
Il noce mantenne sempre un alone di leggenda, legato alla presenza di streghe e incantesimi, che si comunicò alla preparazione del liquore.
Tradizionalmente, infatti, le noci venivano raccolte nella notte di San Giovanni dalla mano di una vergine che, salita sull’albero a piedi scalzi, staccava solo le noci migliori a mano e senza intaccarne la buccia. Lasciate alla rugiada notturna per l’intera nottata, si mettevano in infusione il giorno dopo. La loro preparazione terminava la vigilia di Ognissanti, cioè la notte di Halloween.
Nella raccolta la tradizione chiede di non usare attrezzi di ferro. Il metallo, infatti, intaccherebbe le proprietà delle piante officinali. È un fatto che i vegetali tagliati con lama di metallo ossidano prima e appassiscono più in fretta di quelli tagliati, ad esempio, con una lama di ceramica. L’usanza è comunque molto antica e già i druidi la seguivano cogliendo il vischio con un falcetto d’oro.
Uomo di scienza, cultura, critico letterario, nazionalista, scrittore attentissimo ai fatti di lingua, igienista, gastronomo, Pellegrino Artusi trascorse la sua vita fra la Romagna e la Toscana.
Autore del famosissimo manuale di alimentazione La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene, che ebbe larghissima popolarità per la sua prosa scorrevole e simpatica, grazie al corretto italiano con cui fu scritto, contribuì all’unificazione linguistica della Nazione. Infatti, nei suoi scritti si percepisce un’idea di Nazione ed il progetto di unificare il futuro dell’idioma italico, basato su tali valori, nel rispetto di tutte le regioni e dei loro passati splendori.
Ecco il nocino del grande Artusi:
“Il nocino è un liquore da farsi verso la metà di giugno, quando le noci non sono ancora giunte alla maturazione. *Noci (col mallo) n. 30; spirito, litri uno e mezzo; zucchero in polvere, grammi 750; cannella regina tritata grammi 2; chiodi di garofano interi 10 di numero; acqua decilitri 1; la corteccia di un limone di giardino a pezzetti.* Tagliate le noci in quattro spicchi e mettetele in infusione con i suddetti ingredienti in una damigiana od un fiasco della capacità di quattro o cinque litri. *Chiudetelo bene e tenetelo per quaranta giorni in luogo caldo scuotendo a quando a quando il vaso. *Colatelo da un pannolino e poi, per averlo ben chiaro, passatelo per cotone o per carta, ma qualche giorno prima assaggiatelo, perché se vi paresse troppo spiritoso potete aggiungervi un bicchier d’acqua”.
Ingredienti e quantità:
Noci col mallo verde 300g
Spirito di vino gradi 36 1500g
Zucchero in polvere 750g
Cannella 2g
Chiodi di garofano n. 10
Acqua 400g
Scorza di limone q.b
…..e un pò di pazienza perchè deve maturare per almeno 6 mesi!
Fonti:
Mussomeli è un comune italia di circa 12.000 abitanti.del libero consorzio comunale di Caltanisetta. Sorge in una zona collinare interna, a est del fiume Platani, nella Sicilia Centrale a 765 metri sul mare
Si presume che il territorio di Mussomeli sia stato abitato fin dall’epoca preellenica (prima del 1500 a.C.) dai Sicani e dai Siculi, attratti dalla sicurezza offerta dalla conformazione del territorio e dalla fertilità della terra. Ciò è testimoniato da numerose zone archeologiche nelle vicinanze del paese. Qualche migliaio di anni dopo, i Romani scelsero queste terre anche perché svolgevano durante le guerre un ruolo di raccordo tra il centro Sicilia e le coste.
Nel 1370 Manfredi di Chiaramonte inaugurò il Castello Manfredonico Chiaramontano di stile gotico-normanno, costruito su una precedente fortezza araba, che si innalza su una rupe fino a 778 metri: “Il nido D’Aquila”
E’ uno di quesi paesi che rischia di essere abbandonato e il sindaco Giuseppe Sebastiano Catania,uno di quei sindaci che prende iniziative che fanno bene al paese: mette in vendita le case ad un euro , mancano i medici e l’ospedale di zona potrebbe chiudere.
Così si avvale della collaborazione di Erica Moscatello e Javier Raviculè, due quarantenni che lavorano nel settore della consulenza per le pubbliche amministrazioni. Sono arrivati a Mussomeli, spinti anche dalla curiosità e dagli incentivi proposti per trasferirsi in questa zona, e hanno deciso di non muoversi, dopo avere acquistato la loro casa a 1 euro.
Erica e Javier hanno contattato il rettore dell’Università argentina di Rosario, Franco Bartolacci, che ha pubblicato un appello rivolto a tutti i medici del paese
A quel punto si è messa in moto una catena di richieste .
La richiesta più singolare è arrivata da sessantamila medici argentini, un numero di persone che potrebbero riempire uno stadio.
Intanto, i primi trenta argentini hanno già acquistato le loro case a 1 euro (finora ne sono state vendite 342) e si sono trasferiti in Sicilia.
Sono attirati dalla bellezza dei luoghi, dalla qualità della vita e, nel caso dei medici, da uno stipendio di circa 6 mila euro al mese.
Quanto alle case, a Mussomeli gli abitanti sono soltanto 12 mila, ma secondo il sindaco c’è posto per almeno 55 mila persone.
Oltre i medici che hanno impedito la chiusura delle strutture sanitarie indispensabili su tutto il territorio circostante.
Fonte:
“Occasioni per la tua casa e per il pianeta”, si legge all’ingresso.
È il Circular Hub di Ikea: il nuovo spazio all’insegna della sostenibilità all’interno degli store italiani del marchio.
Da sempre sensibile al benessere ambientale e promotrice di diverse iniziative green e di un approccio alternativo al consumo, Ikea ha infatti deciso di trasformare lo storico Angolo delle occasioni – l’area che ospita articoli venduti con un prezzo ribassato dal 15% al 70% – in un luogo dedicato alla circolarità e a uno stile di vita attento alla natura e alla persone.
È nato così il Circular Hub: uno spazio dove acquistare prodotti di seconda mano, quindi a un prezzo decisamente vantaggioso, ma anche, all’interno dell’area Learn&Share, parlare con alcuni esperti e imparare metodi creativi per riparare, riutilizzare e personalizzare ciò che già si ha in casa.
Un luogo in cui i consumatori, oltre che risparmiare, possano anche contribuire a ridurre gli sprechi e aiutare il pianeta.
Con il Circular Hub Ikea regala infatti una seconda vita, o anche di più, a mobili e accessori usati ma ancora perfettamente funzionanti e sicuri.
Prodotti provenienti da resi e lievemente danneggiati durante i trasporti, utilizzati per gli allestimenti nei negozi o riacquistati dall’azienda stessa con il servizio “Riporta e Rivendi”, che da otto anni aiuta le persone a prolungare la vita degli oggetti Ikea e che solo dal 2020 a oggi ha visto quasi 20mila pezzi consegnati negli store italiani.
L’obiettivo di questa e altre iniziative?
“Diventare un business circolare e generare un impatto positivo sul clima entro il 2030, in linea con gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”, dicono dall’azienda. “Trasformare Ikea in un business circolare è una delle nostre maggiori ambizioni e, al tempo stesso, una grande sfida per il futuro”, ha detto Ylenia Tommasato, country sustainability manager, parlando dell’impegno dell’azienda. “Sviluppare nuovi prodotti seguendo i nostri principi di design circolare, ovvero utilizzando materiali rinnovabili o riciclati e dare una seconda vita a quelli già usati, ci permette di sviluppare soluzioni per un futuro più sostenibile”.
Leggi anche:
http://www.ebay.ie/sch/i.html?_sop=15&_nkw=royal+kendal+mug+on+saucer&_frs=1
In un sondaggio condotto da IZI, in collaborazione con Comin & Partners, è emerso che l’80% degli italiani che lavora da casa giudica positivamente questa modalità: il 37% sarebbe addirittura disposto a rinunciare a parte del proprio stipendio pur di continuare a lavorare dalla propria abitazione.
A poco più di un mese dall’inizio del “lockdown“, l’80% degli italiani che lavora da casa giudica positivamente questa modalità e il 37% sarebbe addirittura disposto a rinunciare a parte del proprio stipendio pur di continuare a lavorare dalla propria abitazione. Purtroppo però, non per tutti il telelavoro è una scelta possibile: un italiano su tre, infatti, ha problemi per l’accesso alla rete o non ha disponibilità di computer e apparecchi tecnologici. È quanto emerge dal sondaggio condotto da IZI in collaborazione con Comin & Partners.
Gli italiani che hanno dovuto trasformare la propria casa in ufficio a causa dell’emergenza Covid-19 sono quasi due milioni, il 35% dei quali sarebbero disposti a mantenere questa nuova normalità anche superata la crisi sanitaria. Inoltre, il 57% sarebbe disponibile a una formula di lavoro agile parziale. Significativa la percentuale di italiani (il 37%) che sarebbe anche disposto a rinunciare a parte del proprio stipendio pur di continuare a lavorare dalla propria abitazione.
I vantaggi del telelavoro, secondo gli intervistati, sono numerosi. Al primo posto, per oltre un terzo degli intervistati, c’è il risparmio del tempo che solitamente si impiega per recarsi al lavoro. Inoltre, si indica una maggiore flessibilità di orari (30%), il risparmio economico su trasporti e pranzo (15%) e la possibilità di trascorrere più tempo con la famiglia (13%). Minore, ma comunque interessante, il dato di quanti affermano di preferire il lavoro agile per la possibilità di mangiare più sano.
In linea generale, il 58% si ritiene abbastanza soddisfatto della nuova modalità di lavoro, contro un 16% di poco soddisfatti. Se da un lato è più facile organizzarsi il lavoro, a casa, dall’altro però questo può portare ad una difficoltà nel trovare il tempo da dedicare alle attività personali. È esattamente per questo che il 23% ha dichiarato di “non staccare mai”, mentre il 5% fa fatica ad organizzare il proprio tempo e il 7% trova complesso gestire e pianificare il lavoro.
Ma la mole di lavoro non è l’unico limite che lo smart working deve superare. Infatti, non sempre si dispone di una connessione internet adeguata, abbastanza veloce da non complicare il normale svolgimento delle proprie mansioni. Inoltre, in questo momento di lockdown, molti lavoratori non sono soli in casa e che quindi molti dispositivi connessi simultaneamente non hanno una connessione in grado di supportarli. In più, tra coinquilini, famiglia, televisioni e quant’altro le distrazioni non mancano: per il 13,4%, infatti, queste rappresentano un problema.
Il sondaggio è stato effettuato sui residenti in Italia in età lavorativa (18-65 anni) che abbiano avuto esperienza di lavoro agile. Il campione ha incluso 1002 persone intervistate in modalità: Cati-Cawi. Le Interviste sono state effettuate tra il 7 e il 9 aprile.
Uno “smart working” che, per le donne, è poco “smart”.
E’ quanto emerge dalla ricerca #IOLAVORODACASA condotta da Valore D con l’obiettivo di analizzare il mondo del lavoro in Italia in questo periodo di grande criticità dovuto all’emergenza Coronavirus.
L’indagine fatta su un panel di oltre 1300 lavoratori, dipendenti e non di multinazionali e PMI, conferma che, per dare continuità al proprio business tutelando la salute dei dipendenti, in questo periodo le aziende sono ricorse ad un uso massiccio dello smart working. Oltre il 93% degli intervistati sta infatti lavorando da casa.
Smart working o extreme working?
L’analisi racconta che il 60% del campione femminile dipendente era già abituato a lavorare in modalità “lavoro agile”, con flessibilità di orario e spazi. Ma lo smart working richiede una grande disciplina personale, la ricerca di una postazione di lavoro tranquilla e isolata, orari determinati – tutti aspetti non facili da mettere in atto in un momento di convivenza familiare forzata. Emerge quindi che, in questo periodo, 1 donna su 3 lavora più di prima e non riesce, o fa fatica, a mantenere un equilibrio tra il lavoro e la vita domestica. Tra gli uomini il rapporto è di 1 su 5. “La ricerca conferma che la responsabilità della cura famigliare continua a gravare in prevalenza sulle donne che, soprattutto in questa situazione di emergenza, fanno fatica a conciliare la vita professionale con quella personale. Sarebbe invece auspicabile che proprio momenti di crisi come questi potessero aiutare a sviluppare una maggiore corresponsabilità genitoriale che alleggerisca la donna dal duplice carico famigliare e professionale”, commenta Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D.
Pur avendo una forte tenuta emotiva – oltre il 60% delle donne ha espresso sentimenti “positivi e di rinnovamento” – il restante 40% vive questo periodo con “ansia, rabbia e confusione”. Ciò è particolarmente vero nella generazione delle Millennials che si sentono molto più confuse rispetto alla generazione delle Baby Boomers (22.8% le prime contro il 6% delle seconde).
La “resilienza” è un aspetto che caratterizza in modo importante la fascia femminile sopra i 40 anni. Oltre il 48% di loro ha espresso una forte capacità di affrontare e superare questo periodo di difficoltà, contro l’11% delle donne sotto i 30 anni. In compenso, la “speranza” è un sentimento trasversale che in questo momento accumuna le donne di tutte le generazioni con un leggero incremento tra chi ha meno di 40 anni.
E le aziende?
Come hanno reagito le aziende? Quasi la totalità degli intervistati (90%) ritiene che siano intervenute prontamente e che spesso abbiano “anticipato le disposizioni governative”. Le aziende si sono mosse su due fronti, quello tecnologico e quello relazionale, favorendo lo smart working in termini organizzativi con strumenti adeguati e supporto IT, ma anche proponendo “attività di formazione in remoto”. Il management fa sentire la sua vicinanza aumentando i contatti con i dipendenti con mail, web conferences e telefonate motivazionali e di incoraggiamento, spesso “rispondendo live a tutte le domande sullo stato del business e rassicurandoci sulla solidità della filiale italiana”.
Anche la dimensione ludica aiuta a tenere alto il morale. Alcune aziende mantengono viva la Community attraverso il “gruppo Facebook aziendale o apposite piattaforme utilizzate per attività sia business che leisure (sport, cucina,…)”.
Importanti si rivelano anche le relazioni tra colleghi che, per condividere la difficoltà del momento e allentare la tensione, si ritrovano per “pause caffè e pranzi virtuali, video call di gruppo”.
Il futuro
E il futuro? Molti già “programmano il futuro” e si stanno “preparando alla ripresa occupandoci di ciò che abbiamo trascurato”. La maggior parte (85%) crede che questa situazione contribuirà a introdurre, modificare, e rinforzare il modello di Smart Working in azienda.
/smart-working-al-femminile-1-donna-su-3-lavora-piu-di-prima
Un gruppo di ricercatori americani ha raccolto un po’ di polvere dalle case di Portland e l’ha messa in alcuni modellini di abitazioni.
Quello che hanno scoperto dopo 90 giorni è che il sole aveva ucciso il doppio dei batteri rispetto alle stanze rimaste al buio. Ammettilo, è il momento di dare ragione alla nonna.
Sembra che sprecare tempo con detersivi aggressivi e antibatterici dalla precisione capillare non serva a nulla, se poi non tieni sollevate le tapparelle e aperte le finestre.
Sono stati i ricercatori dell’Università dell’Oregon a dimostrare quello che tua nonna sapeva già da tempo: la luce solare uccide i batteri. In uno studio pubblicato sulla rivista Microbiome hanno utilizzato le case delle bambole per dimostrare che se Barbie tiene la stanza al buio, si ritroverà a vivere con il doppio dei microbi. Quindi spalanca i vetri e leggi con attenzione.
L’esperimento è stato fatto a Portland, la città più grande dell’Oregon. I ricercatori hanno messo polvere vera, raccolta dalle case dei cittadini che abitano nella zona, in modellini di abitazioni. Alcuni sono state esposte alla luce solare diretta, altri all’illuminazione di lampade e gli ultimi sono rimaste al buio. In tutti, la temperatura era quella che si ritrova normalmente negli appartamenti. Dopodiché hanno aspettato 90 giorni, cioè il tempo nel quale la polvere rimane attaccata, anche se passi spesso l’aspirapolvere.
E alla fine hanno analizzato lo sporco. Nelle stanze colpite dai raggi ultravioletti del sole era vivo solo il 6,1% di batteri. La differenza con le case illuminate in modo artificiale era di sette punti percentuali, ma in quelle rimaste al buio la comunità di microbi aveva almeno il doppio della popolazione.
Se tieni presente che anche agli acari piace il buio, ti verrà voglia di chiudere le tapparelle solo quando vai a dormire.
Aprire le finestre, poi, è importante anche in inverno, perché i termosifoni sono dei produttori di polvere casalinghi. Tutte cose che, se soffri di allergia, saprai già.
Quello che invece aggiunge lo studio è che i batteri vivi nelle stanze sono proprio quelli che causano malattie respiratorie. Quindi quando la nonna spalancava le finestre di camera tua per farti alzare, ecco, aveva ragione lei.
Fonte|
Daylight exposure modulates bacterial communities associated with household
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Se nessuno ti vede mentre lo mangi, quel dolce non ha calorie.
Le belle parole dei saggi e dei poeti di tutto il mondo mi aiutano spesso a dire quello che non so esprimere
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